Perché non impariamo dagli errori?

Per imparare dagli errori dobbiamo mantenere la memoria storica e sottrarci al self-attribution bias. 

Lo sappiamo: imparare dagli errori è una delle qualità fondamentali per migliorare, diventare più resilienti come uomini e come aziende, per poter prendere buone decisioni, almeno quelle future.

Tuttavia, se è molto semplice affermarlo, è molto più difficile metterlo in pratica. Prima di tutto perché tendiamo a dimenticarcene: è come se il cervello, per difendere la nostra autostima, fosse programmato per cancellare automaticamente e velocemente la memoria dell’errore. E poi per imparare da un errore, dobbiamo prima di tutto capire di avere sbagliato: e non è sempre così scontato.

L’assenza di memoria storica

Il mondo degli investimenti ci offre numerosi esempi della nostra incapacità di imparare dagli errori: la storia economica è costellata di bolle finanziarie che tendono a ripetersi seguendo ogni volta la stessa dinamica. Solo negli ultimi decenni abbiamo assistito alla bolla giapponese di fine anni ’80, a quella tecnologica di inizio 2000 e a quella del credito e dell’immobiliare del 2008. Come è possibile che gli investitori siano sempre pronti a saltare su una nuova bolla destinata inevitabilmente a scoppiare come tutte le altre?

L’economista John Kenneth Galbraith, ha affermato che i mercati sono caratterizzati “da un’estrema brevità di memoria finanziaria. Ne consegue che i disastri sono dimenticati velocemente. Quando le stesse o simili circostanze si verificano di nuovo, anche dopo pochi anni, sono accolte da una nuova generazione, più giovane e sempre estremamente sicura di sé, come la manifestazione di un qualcosa di innovativo nel campo economico e finanziario. Ci sono pochi campi nell’ambito delle imprese dell’uomo in cui la storia conta così poco come nel mondo della finanza.”

Come disse il leggendario sir John Templeton, di fronte ad una nuova bolla gli uomini sono sempre pronti a pronunciare le quattro parole più pericolose nel campo degli investimenti: “Questa volta è diverso.”

Bolle finanziarie, guerre, alluvioni, progetti sbagliati: sembra che gli uomini siano programmati per ripetere sempre gli stessi errori, semplicemente con vestiti leggermente diversi. Come ha affermato un altro guru degli investimenti, Jeremy Grantham: “Pensi che impareremo qualcosa da questo disastro? Impareremo moltissimo nel breve termine, qualcosa nel medio termine, assolutamente nulla nel lungo periodo.”

“Pensi che impareremo qualcosa da questo disastro? Impareremo moltissimo nel breve termine, qualcosa nel medio termine, assolutamente nulla nel lungo periodo.” (Jeremy Grantham)

Per questo è così importante cercare di mantenere una memoria storica, per poter richiamare alla mente velocemente gli errori del passato quando ci troveremo in futuro in una situazione simile. I grandi investitori tendono ad attaccare alle pareti dei propri uffici non tanto i ricordi dei propri successi, come verrebbe naturale fare per autocelebrarsi, ma quelli dei propri errori più grandi: avere dei post-it, delle scritte che mantengono il ricordo, la visibilità e l’ammonimento degli investimenti sbagliati, fa si che i grandi investitori non tendano a ripetere lo stesso errore per due volte. E questo li rende migliori degli altri nel lungo periodo. Come ha affermato il filosofo George Santayana, “chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo.”

“Chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo.” (George Santayana)

Nel campo del business condurre un postmortem dopo ogni progetto è l’equivalente di attaccare alle pareti il ricordo degli investimenti sbagliati. I postmortem consentono di riflettere su cosa è andato male e perché, e su cosa si può imparare per i progetti futuri. Ma non solo: rendendo disponibili a tutti gli insegnamenti dei vari postmortem, ad esempio salvandoli su una cartella condivisa, si mantiene la memoria storica degli errori passati e anche gli altri team non direttamente coinvolti, oggi o domani potranno imparare qualcosa dal fallimento dei propri colleghi.

Non è colpa mia: è solo sfortuna

Non impariamo dagli errori anche perché facciamo fatica ad ammettere di aver sbagliato: siamo vittime del self-attibution bias. Il self-attribution bias è la naturale tendenza ad attribuire i buoni risultati alle nostre abilità e i cattivi risultati alla sfortuna o a fattori esterni.

Gli sport sono un ambiente dove questo atteggiamento tende a predominare. Numerosi studi hanno dimostrato come dopo una vittoria, atleti e allenatori professionisti nell’80% dei casi attribuiscono il risultato a fattori legati alla performance individuale o del team mentre dopo una sconfitta circa nella metà dei casi la responsabilità viene attribuita a fattori esterni. Non proprio una valutazione obiettiva non credete? Avete presente le classiche interviste degli allenatori di calcio dopo una sconfitta? Più o meno tendono a dire: “abbiamo fatto un’ottima partita. Il risultato non è arrivato per alcuni episodi sfortunati e per alcune valutazioni negative dell’arbitro.” Ecco quando vediamo degli allenatori che parlano solo di sfortuna o degli arbitri dovremmo riconoscere che sono completamente malati di self-attribution bias: sfortunatamente per loro, per la loro squadra e per i loro tifosi, non riuscendo a riconoscere i propri errori non riusciranno a migliorare l’efficacia del team e a costruire qualcosa di importante.

La stessa cosa accade nel mondo degli investimenti dove i professionisti tendono invariabilmente ad attribuire i cattivi risultati a sfortuna o ad eventi imprevedibili mentre nella stragrande maggioranza dei casi il vero motivo è un difetto di analisi o un processo decisionale errato. Del resto da quando Nassim Taleb ha introdotto il concetto di “cigno nero”, abbiamo visto un proliferare di questa tipologia di cigni dappertutto. La crisi del 2008? Un cigno nero. L’inflazione? Un cigno nero. Il fallimento di quella particolare società? Un cigno nero. Trasformare ogni evento in un cigno nero consente di non attribuirci la responsabilità dei nostri errori ed evitare pericolose auto-analisi. Ma così facendo non abbiamo la possibilità di imparare, migliorare il processo di investimento e diventare investitori più bravi.

Il celebre trader di inizio ‘900 Jesse Livermore ha affermato: “Se un uomo non facesse errori possiederebbe il mondo in un mese. Ma se non mettesse a frutto i propri errori, non possiederebbe proprio nulla.”

“Se un uomo non facesse errori possiederebbe il mondo in un mese. Ma se non mettesse a frutto i propri errori, non possiederebbe proprio nulla.” (Jesse Livermore)

Nel suo Alchemy of Finance, George Soros ha affermato che per sottrarsi al self-attribution bias, iniziò a scrivere un diario degli investimenti, in cui riportava in tempo reale i pensieri, le valutazioni e le aspettative che sostanziavano ogni decisione di investimento. “L’esperimento è stato un successo in termini finanziari, il mio fondo non ha mai fatto meglio. Ha anche generato un risultato sorprendente: mi sono reso conto di avere aspettative molto differenti rispetto al futuro.”

Il diario degli investimenti è uno strumento fondamentale per fare una corretta valutazione ex-post degli eventi ed imparare: ho avuto successo per il giusto motivo (sono stato bravo) o sono stato semplicemente fortunato (e quindi non devo stare tanto sereno)? Ho sbagliato perché ho commesso degli errori (e quindi posso individuarli e metterli a frutto per il futuro) o sono semplicemente stato sfortunato (e quindi non devo deprimermi inutilmente). Se non ricordiamo il razionale delle nostre scelte, difficilmente riusciamo a capire la relazione decisione-risultato e quindi se stiamo continuando a fare gli stessi errori.

In ambito aziendale questa impostazione è fondamentale per condurre dei postmortem efficaci. In primo luogo dobbiamo riflettere sulle scelte che abbiamo compiuto e sugli obiettivi e aspettative che avevamo quando le abbiamo fatte. In sostanza che tipo di ragionamento avevamo elaborato. E dobbiamo farlo nel modo più obiettivo possibile.

E poi dovremmo condurre l’analisi secondo l’impostazione della tabella sottostante:

 Risultato PositivoRisultato Negativo
Decisione correttaAbilitàSfortuna
Decisione errataFortunaErrore
Tabella 1: come valutare le decisioni nel corso di un postmortem

Dovremmo cioè capire se quello che è andato bene è stata la naturale conseguenza di nostre decisioni corrette o semplicemente siamo stati fortunati: in questo caso infatti possiamo sempre trovare degli spunti di miglioramento perché non possiamo certo contare sulla fortuna anche in futuro. Al contrario se le cose sono andate male, dovremmo analizzare quanto i risultati sono conseguenza di nostri errori e quanto di eventi esterni non controllabili. Nel primo caso possiamo imparare, nel secondo non deprimerci inutilmente.

Bibliografia

Montier, James. The Little Book of Behavioral Investing. John Wiley & Sons, 2010.

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