General Electric e il Dilemma dell’Innovatore

L’esperienza di GE Digital ci ricorda quanto sia difficile, nelle aziende tradizionali, portare avanti delle innovazioni disruptive, che determinano un’inevitabile cannibalizzazione del “core” business. 

Quando nel 2011 Jeff Immelt, CEO di General Electric, decise di creare GE Digital, l’idea era quella di inserire all’interno dei macchinari una batteria di sensori per catturare e studiare i dati dei clienti e sviluppare quindi delle applicazioni software per migliorare l’efficienza di utilizzo.

Per più di un secolo il modello di business di GE era stato quello di vendere complessi macchinari (hardware) ad un prezzo di poco superiore al costo di produzione e poi marginare sui servizi necessari al mantenimento e alla riparazione di questo hardware. Secondo Immelt, l’evoluzione tecnologica richiedeva la transizione verso un nuovo modello: non vendere solo l’hardware ma anche soluzioni software personalizzate per migliorare la performance delle macchine.

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C’erano tre aree in cui l’utilizzo dei dati avrebbe fornito un grande valore aggiunto. In primo luogo avrebbe consentito di ottimizzare la performance di ogni macchina, ad esempio facendo in modo che i motori dei jet consumassero meno carburante durante l’atterraggio. Inoltre con il software di analisi, GE avrebbe potuto prevedere con grande efficacia gli interventi di manutenzione, individuando in anticipo i segnali di una potenziale rottura ed evitando quindi costose interruzioni di servizio. Infine il software avrebbe potuto migliorare anche la performance complessiva del sistema in cui si trovavano ad operare le macchine ad esempio una rete ferroviaria, un giacimento petrolifero o un parco eolico.

Mentre Google e Facebook avevano creato delle piattaforme per i consumatori e Microsoft per l’ufficio, ai tempi non esisteva nessuna piattaforma per integrare ed analizzare i dati delle macchine: Immelt pensò quindi che quella dovesse essere la naturale evoluzione per GE, vista la posizione dominante nel settore industriale.

GE Digital creò Predix, una piattaforma basata sul cloud per l’analisi dei dati delle macchine: Predix generava un modello computerizzato, un vero e proprio “gemello digitale” di ogni macchinario che in tempo reale mostrava come stava performando e se qualche parte si stava logorando. Inoltre produceva anche un inventario digitale della macchina che teneva traccia di tutta la storia, dall’assemblaggio iniziale alle riparazioni successive.

In ogni momento Predix poteva monitorare la performance del motore di un jet mentre era in volo o inclinare le lame di una turbina per aumentare la potenza mentre era in funzione. Considerato il costo elevato dei macchinari, ogni piccolo incremento di efficienza nel loro utilizzo aveva grande valore per i clienti, e anche per GE, visto che nei contratti era prevista una remunerazione legata al risparmio di costo dovuto all’utilizzo del software.

GE Digital si scontra con il Dilemma dell’Innovatore

Tom Siebel è un guru dell’innovazione digitale: fondatore di Siebel Systems, è oggi il fondatore e CEO di C3.ai, una piattaforma software basata sull’intelligenza artificiale. Quando nel 2013 incontrò Immelt, commentando la sua iniziativa con GE Digital, gli disse: “Jeff, quello che stai facendo è giusto. Ma non riuscirai mai a farlo all’interno di una grande azienda come GE. La tua azienda non te lo consentirà.”

Le parole di Siebel si rivelarono una profezia: quando Immelt lasciò GE nel 2017, il progetto GE Digital fu smantellato e gran parte delle persone coinvolte lasciarono l’azienda per una carriera in società tecnologiche. Oggi il mondo dei servizi digitali industriali è presidiato da una dozzina di aziende disruptors: la stessa C3.ai di Siebel ha sviluppato degli applicativi per elaborare i dati delle turbine di GE, portando avanti il lavoro iniziato da GE Digital.

Ma cosa era successo? GE Digital era caduta vittima del Dilemma dell’Innovatore, termine reso popolare dall’omonimo libro del 1997 del docente di Harvard Clayton Christensen (per approfondire il Dilemma dell’Innovatore clicca qui). La tesi di Christensen è che le aziende tradizionali fronteggiano un dilemma quando devono introdurre delle innovazioni disruptive perché quasi sempre portano ad una cannibalizzazione del “core” business a cui nella gran parte dei casi non sono disposte a rinunciare.

Prendiamo in considerazione la divisione di GE specializzata sul segmento petrolifero (GE Oil & Gas). Marginano pochissimo quando vendono un compressore ma recuperano negli anni successivi vendendo i pezzi di ricambio e i servizi di manutenzione. Ora c’è una nuova divisione aziendale, GE Digital, il cui prodotto Predix ha come obiettivo principale quello di aiutare i clienti a comprare meno pezzi di ricambio. E’ ovvio che i dirigenti di GE Oil & Gas focalizzati sui risultati della propria divisione, non siano proprio contenti dell’introduzione di questa innovazione.

Immelt non smetteva di ricordare ai manager delle varie divisioni: “Questo è il trend del futuro. Se non lo fa GE Digital, qualche altra azienda si prenderà questi ricavi. Sì è vero, Predix avrà un impatto negativo nel breve termine ma nel lungo termine non abbiamo altra scelta.” Nonostante questa opera di persuasione di Immelt, in GE rimanevano molti i manager contrari, quelli che Shipchandler, il CFO di GE Digital, definiva gli “anticorpi di GE”.

Quelli che lavoravano negli altri team IT, non vedevano di buon occhio i nuovi assunti in GE Digital, che avevano degli stipendi decisamente superiori perché si dovevano attrarre talenti della Silicon Valley. Inoltre gli investimenti in Predix inevitabilmente richiesero una contrazione dei budget delle altre divisioni, con ovvio malcontento dei manager interessati.

Per di più GE Digital bruciava cassa, come è ovvio che fosse per una start up, ma questo era in evidente contrasto con la cultura tradizionale di GE, ossessionata dal focus sulla profittabilità trimestre dopo trimestre. Secondo le metriche solitamente utilizzate in GE, crescita dei ricavi e profittabilità, questa piccola start up era considerata una delusione in cui si stavano investendo (e sprecando) troppi soldi, tutti generati dalle divisioni “tradizionali”. Sotto diversi aspetti, il mondo industriale e quello digitale seguivano regole opposte: lento vs veloce, ponderato vs agile, avversione al rischio vs propensione al rischio.

Nonostante GE Digital fosse la scelta strategica giusta in un’ottica di lungo periodo e potesse godere di un vantaggio competitivo iniziale notevole, derivante dalle relazioni industriali di GE e dalle base installata di macchinari, alla fine gli anticorpi ebbero la meglio e il corpo estraneo rigettato.

Conclusioni

L’esperienza di GE Digital ci ricorda quanto sia difficile, nelle aziende tradizionali, portare avanti delle innovazioni disruptive, che determinano un’inevitabile cannibalizzazione del “core” business. Si mettono infatti in azione tutta una serie di anticorpi che tendono a rigettare l’innovazione al fine di preservare lo status quo. GE Digital era capitolata nonostante Immelt fosse stato un grande sostenitore dell’iniziativa, avesse messo alcuni dei suoi migliori manager a capo della divisione e l’avesse localizzata in California per favorire l’acquisizione di talenti dal mondo tecnologico.

Secondo la ricerca di Clayton Christensen, gli unici casi in cui le aziende “incumbent” si sono posizionate in anticipo su una tecnologia disruptive è quando sono state create divisioni autonome, isolate dal resto dell’azienda, con lo specifico obiettivo di creare un nuovo business indipendente. Invece di cercare di far collaborare GE Digital con le altre divisioni aziendali, Immelt avrebbe dovuto mantenere la nuova iniziativa completamente separata lasciandola crescere autonomamente: in questo modo l’avrebbe protetta dagli anticorpi aziendali fino a quando non fosse diventata abbastanza grande e profittevole per difendersi da sola.

Bibliografia:

Immelt, Jeff. Hot Seat. Avid Reader Press, 2021.

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