L’incontenibile bisogno di conferme

Ci focalizziamo solo sulle evidenze che confermano quello in cui crediamo e ignoriamo quelle contrarie: questo atteggiamento rappresenta spesso un ostacolo insormontabile per avvicinarci alla verità.

Il confirmation bias è la naturale tendenza a focalizzarsi solo sulle evidenze che confermano quello in cui vogliamo credere o quello che riteniamo essere vero. Abbiamo una grande difficoltà a considerare i fatti che contraddicono la nostra visione e generalmente tendiamo ad ignorarli o addirittura a negarli.

Il confirmation bias è una fallacia molto comune e pericolosa perché riduce notevolmente la nostra capacità di ricercare la verità e di avere una visione obiettiva: è molto facile trovare evidenze a supporto di qualsiasi cosa, anche dell’esistenza di Babbo Natale. Così, se non valutiamo attentamente anche le evidenze contrarie, potremmo facilmente credere a cose che non esistono.

Il confirmation bias spiega perché molte persone leggano sempre lo stesso giornale o guardino gli stessi canali televisivi; o anche perché tendano a fidarsi di commenti o critiche allineati con quello in cui credono senza andare a verificare direttamente la realtà fattuale. I social media sfruttano abbondantemente questo bias: dopo aver osservato il nostro comportamento, iniziano a proporci contenuti in linea con la nostra visione del mondo rafforzando ulteriormente la nostra convinzione che quello in cui crediamo sia giusto e condiviso da molte altre persone.

Un facile test per verificare il tuo confirmation bias

Supponiamo che un nostro amico ci proponga questo test: ha pensato ad una logica per combinare sequenze di 3 numeri e noi dobbiamo cercare di indovinarla facendogli delle domande. Supponiamo di partire chiedendo se la sequenza “1, 3, 5” può andare bene. Il nostro amico risponde: “sì questa sequenza rispetta la logica che ho in mente”.

Probabilmente quello che pensiamo immediatamente è: “la regola è numeri dispari crescenti”. Cosa facciamo allora per testare la nostra ipotesi? Proponiamo altri 3 numeri dispari ascendenti tipo “3, 5 e 7”? Sbagliato! Per capire la regola sottostante non dovremmo cercare ulteriori evidenze a favore della nostra ipotesi iniziale ma al contrario dovremmo metterla in discussione provando a verificare se ci siano altre sequenze compatibili oltre a “numeri dispari ascendenti”. Forse la regola che ha in mente il nostro amico potrebbe essere: “numeri ascendenti distanziati di 2” oppure “numeri dispari in qualsiasi sequenza”. In sostanza per falsificare la nostra ipotesi di partenza potremmo proporre “2, 4, 6” oppure “5, 3, 1”: in questo modo possiamo eventualmente escludere altre ipotesi che potrebbero essere ugualmente valide e avvicinarci alla verità.

Supponiamo che il nostro amico avesse in mente la regola “qualsiasi 3 numeri ascendenti”: se avessimo continuato a proporre sequenze come “21, 23, 25” o “37, 39, 41” l’amico ci avrebbe continuato a dire che erano ok ma non avremmo mai scoperto la regola sottostante. Purtroppo il confirmation bias è talmente radicato nella nostra mente che di default andiamo immediatamente a ricercare ulteriori evidenze a supporto della nostra ipotesi di partenza invece di metterla in discussione e questo rappresenta spesso un ostacolo insormontabile per avvicinarci alla verità.

Il problema dell’induzione di Hume e la falsificazione di Popper

La logica dell’esempio che abbiamo appena analizzato era stata colta nel XVIII secolo da David Hume quando aveva espresso il famoso problema dell’induzione, affermando che neppure un numero molto grande di evidenze empiriche favorevoli può dimostrare senza dubbio la verità di un’ipotesi scientifica: il fatto di continuare a vedere solo cigni bianchi ci può rafforzare nella nostra ipotesi che tutti i cigni siano bianchi anche se non potremmo mai affermarlo con certezza. Notate la similarità con l’esempio precedente: continuando a chiedere sequenze di “numeri dispari ascendenti” saremmo più fiduciosi sulla nostra ipotesi di partenza ma egualmente lontani dalla verità.

Nel secolo scorso, il filosofo Karl Popper ha cercato di risolvere il problema dell’induzione posto da Hume introducendo il concetto di falsificazione: se è vero che anche un numero molto elevato di osservazioni a favore non sono sufficienti a confermare una teoria, anche solo un’osservazione contraria è sufficiente a negarla. In pratica una singola osservazione di un cigno nero è sufficiente a smontare la teoria che tutti i cigni siano bianchi.

Popper aveva introdotto il concetto di falsificazione per creare una demarcazione tra teorie “realmente” scientifiche e il variegato mondo della pseudoscienza: secondo Popper possono essere considerate scientifiche solo le teorie che possono essere falsificate, cioè per le quali sia teoricamente possibile trovare evidenze che le contraddicano. Le pseudoscienze invece, hanno ipotesi così flessibili e non ben definite da poter essere compatibili con qualsiasi tipo di osservazione e quindi infalsificabili. Se non posso dimostrare in alcun modo che una teoria possa essere falsa, allora, secondo Popper, non ha valore, indipendentemente dal fatto che sia vera o meno.

Tornando al confirmation bias, cosa ci suggeriscono Hume e Popper? Hume ci dice che continuare ad accumulare evidenze a supporto delle nostra ipotesi iniziale può essere utile ma non è sufficiente per essere sicuri sulla sua veridicità. Popper ci esorta quindi a fare un passo ulteriore: vincere il nostro confirmation bias e provare a dimostrare che la nostra ipotesi di partenza sia falsa. Se regge anche il test della falsificazione saremo più sereni sulla sua solidità.  

La negazione dell’evidenza e l’effetto backfire

Il confirmation bias si associa molto spesso con la negazione dell’evidenza. Vari studi hanno dimostrato che quando le persone si trovano di fronte a evidenze che contraddicono palesemente le loro credenze, non solo non cambiano idea, ma molto spesso rafforzano i loro convincimenti, una tendenza che prende il nome di effetto backfire. Ad esempio uno studio del 2010 ha riscontrato come i conservatori americani si sono convinti ancora di più che Saddam disponesse di armi di distruzione di massa dopo che erano state riscontrate prove evidenti del contrario.

Questo atteggiamento è tipico di chi crede nelle teorie del complotto: non solo vengono negate le evidenze contrarie ma le stesse evidenze vengono ribaltate e utilizzate a supporto della propria tesi con l’affermazione “questo è quello che vogliono farci credere”. Le teorie del complotto sono costruite “ex-ante” per essere compatibili con qualsiasi tipo di evidenza, favorevole e contraria, e quindi per definizione non possono essere falsificate. Come direbbe Popper, non potendo dimostrare se siano vere o false, non possono essere considerate scientificamente credibili.

Perché vedo questa cosa dappertutto?

Il confirmation bias è anche alla base di quel fenomeno che ci capita quando, una volta che notiamo qualcosa, tendiamo a rivederla dappertutto. Ci soffermiamo su una parola che non avevamo mai sentito e lo stesso giorno la risentiamo più volte. Pensiamo al numero 23 e tenderemo a vederlo ovunque. Questo perché ci soffermiamo solo sulle evidenze favorevoli e ignoriamo quelle contrarie: non facciamo di certo caso a quanti numeri diversi dal 23 abbiamo visto! Come ha scritto George Bernard Shaw: “il momento in cui vogliamo credere a qualcosa, vediamo improvvisamente tutte le argomentazioni a favore e diventiamo ciechi a quelle contrarie”.

“Il momento in cui vogliamo credere a qualcosa, vediamo improvvisamente tutte le argomentazioni a favore e diventiamo ciechi a quelle contrarie.” (George Bernard Shaw)

Conclusioni

Quando ci formiamo un convincimento o vogliamo credere a qualcosa, andiamo subito alla ricerca delle evidenze che lo supportano. Non solo, spinti dal confirmation bias, tenderemo a notare solo quelle e ad ignorare completamente le evidenze contrarie: insomma il nostro incontenibile bisogno di conferme ci manterrà lontani dalla verità.

Dovremmo quindi fare uno sforzo consapevole, anche confrontandoci con colleghi o amici, per superare il nostro confirmation bias e provare a falsificare, sulla base di tutte le informazioni disponibili, la nostra tesi di partenza: nel caso non ci riuscissimo, saremmo più fiduciosi di esserci avvicinati alla verità. 

Bibliografia:

Arp, Robert; Barbone, Steven; Bruce Michael. Bad Arguments. 100 of the Most Important Fallacies in Western Philosophy. John Wiley & Sons, 2019. 

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